12 Agosto 2020

LA TERRIBILE EREDITÀ DEL CORONAVIRUS

Di Raffaele Avallone

Solo alla fine sapremo se le misure adottate dal governo saranno state giuste o meno, se per evitare i contagi sia stato giusto chiudere tutto o se non sarebbe stato invece meglio fare tamponi in massa e lasciare a casa, in via precauzionale, solo gli anziani con patologie e gli immunodepressi, visto che a morire sono prevalentemente loro, mentre gli altri per lo più, pare guariscono grazie alle proprie difese immunitarie. Solo alla fine sapremo se non sarebbe stato forse meglio lasciare aperti i negozi facendo entrare le persone uno alla volta, per evitare contagi, come avvenuto per alimentari e farmacie.

Oggi sappiamo però che i tentennamenti del governo hanno aggravato la situazione e che non sono stati affrontati i gravi problemi che, dopo i morti, angosceranno i vivi. Ma quando un palazzo brucia tutti debbono correre a spegnere il fuoco: verrà poi il tempo per la ricerca delle responsabilità.

Finora hanno parlato i virologi, ora debbono parlare i politici, quelli veri, gli statisti. Ce l’abbiamo?

Intanto non avremo un Piano Marshall, che dopo la seconda guerra mondiale ha fatto piovere dagli USA 1.204 milioni di dollari: un’immensità per quei tempi (1947-1951) considerate le nostre misere condizioni economiche. Non lo avremo perché ora siamo in Europa, ma a quanto pare l’Europa non è in Italia: in verità è solo un grande condominio che si occupa delle parti comuni e delle regole di civile convivenza, lasciando ai singoli condomini il compito di pensare ai propri appartamenti.

Quindi dovremo cavarcela da soli. Ma come?

Non è vero che abbiamo bisogno (solo) di liquidità e dell’intervento dell’Europa a garanzia dei nostri debiti, perché il problema non è finanziario, ma economico. Voglio dire che non basta elargire qualche paghetta alle partite IVA o allargare le maglie della cassa integrazione, e nemmeno favorire i prestiti alle aziende che non saprebbero poi come restituirli, se non producono più redditi, ma perdite.

Detto con altre parole, la liquidità sarà certamente utile, ma solo se si interverrà per consentire alle aziende di produrre reddito per se stesse e per i propri dipendenti: diversamente chiuderanno. E sarà un disastro forse peggiore della pandemia, perché alle vittime per virus si aggiungeranno quelle per suicidi, per alienazione e povertà inaspettata: per non parlare del rischio, niente affatto remoto, di rivolte sociali.

Pensate davvero che tutto finirà tra due o tre mesi? Pensate che all’apertura i ristoranti faranno gli stessi coperti di prima? Pensate che bar, pub, pizzeria faranno gli stessi incassi di prima? Pensate che cinema, teatri, discoteche, palestre e sale da ballo, saranno piene come prima o che andremo in vacanza al mare o in montagna come prima e che i turisti verranno in Italia come prima? Pensate che il settore dei mobili, delle auto e di altri generi ritenuti non di prima necessità, non risentiranno dei postumi della pandemia? E gli artigiani lavoreranno come prima? Potrei continuare con questo elenco, ma lascio ad ognuno di voi l’aggiornamento della lista, avendo cura, bene inteso, di aggiungere ai titolati e familiari delle aziende, anche i loro dipendenti, le attività affini e connesse (penso ai professionisti). Soprattutto vi invito a considerare l’effetto domino che la chiusura, o anche solo l’apertura a mezz’asta di queste attività, con milioni di nuovi disoccupati, avrà sulla riduzione dei consumi delle famiglie, che avranno difficoltà anche a comprare quei generi (alimentari ed altri), oggi apparentemente non colpiti. Falliranno molte aziende, o saranno salvate dalla criminalità. Ed allora passeremo dalla padella alla brace.

Dunque il problema è soprattutto economico, non finanziario, come si vorrebbe far credere. Voglio dire che la liquidità sarà utile quale primo intervento, come l’ossigeno per chi è in crisi respiratoria, ma poi le aziende dovranno essere in grado di respirare da sole, dovranno potersi rimettere in piedi, lavorare per se stesse e per dare lavoro agli altri. A meno che lo Stato (con l’aiuto dell’Europa) non sia in grado di regalare, non prestare, alle aziende, ai professionisti, alle partite IVA e a tutti i loro dipendenti privati, quanto occorre per vivere, pagare bollette, affitti, tributi, bolli, assicurazioni ecc, almeno fino a quando (almeno un anno o forse più) tutto ritornerà nella normalità e non avremo più paura dei contagi, soprattutto grazie al vaccino. Ma tutto questo non sarà possibile. Vediamo perché

La nostra ricchezza nazionale annuale (PIL), realisticamente si ridurrà dagli attuali 1.800 a 1.500 miliardi di euro. Quindi cresceranno sia il deficit che il debito pubblico, che a gennaio era di 2.443 miliardi di euro e che salirà vertiginosamente, arrivando a sfiorare il 160% in rapporto al PIL. Con questo indebitamento nessuno ci farà credito, se non pagando più interessi (che oggi sono già di 70 miliardi l’anno) e che a loro volta faranno aumentare di più il debito, con serio rischio di default (leggi: fallimento). A causa della chiusura totale o parziale di molte aziende, diminuiranno sensibilmente le entrate tributarie (oggi di circa 500 miliardi) e lo Stato avrà difficoltà a sostenere la spesa pubblica (pagamenti degli stipendi agli statali inclusi). L’INPS, a sua volta, non incasserà nuovi contributi da imprese, lavoratori autonomi e dipendenti e quindi avrà presto o tardi difficoltà a pagare le pensioni in corso. E molto altro ancora.

Insomma, cambierà la geografia economica della nazione e verranno al pettine anomalie e ingiustizie del nostro sistema. Monterà la protesta e torneranno alla ribalta antiche conflittualità sociali tra autonomi e dipendenti, tra lavoratori pubblici e privati. Andrà rifondato tutto.

Ecco perché ritengo che le tre soluzioni oggi dibattute: ristrutturazione del debito pubblico, aumento delle tasse e patrimoniale, non solo non risolveranno il problema ma sono anche insostenibili.

Ed infatti la ristrutturazione del debito pubblico (chi ha prestato denaro allo Stato rinuncia a qualcosa) si ritorcerebbe contro le stesse aziende (soprattutto banche) e le famiglie italiane che detengono circa il 70% del debito per avere acquistato titoli di Stato. Con la conseguenza che molte banche rischierebbero di fallire, mentre le famiglie vedrebbero ridotta ancora di più la propria ricchezza e quindi la capacità di consumo. L’aumento delle tasse sarebbe invece esiziale per tutte le aziende scampate al coronavirus (si ucciderebbero quelle poche galline che ancora potrebbero darci qualche uovo e lo Stato incasserebbe ancora meno). La patrimoniale, infine, sarebbe un furto di Stato, da compiere di nascosto (come fece il governo Amato), per evitare che i correntisti, allertati, ritirino i fondi dalle banche facendole così saltare. Per non parlare della perdita di credibilità dello Stato che spingerebbe i cittadini a cercare all’estero quella protezione che in Patria gli è stata negata. Pioverebbe sul bagnato.

L’unica soluzione, per restare in tema di misure finanziari, sarebbe quella di un intervento dell’Europa (BCE?) che acquista almeno la metà del debito pubblico italiano con un piano di ammortamento almeno di 30 anni e a tassi pari a quelli oggi correnti in Germania. Un’iniezione di fiducia ed un risparmio di interessi da poter destinare, beninteso però, alla riduzione del carico fiscale per far ripartire i consumi. Ma temo che i paesi del nord Europa non lo consentiranno mai.

Anche in questo caso, però, tutto sarebbe vano se non accompagnato da una crescita del PIL. Ma sappiamo già che non avremo crescita per almeno un paio di anni ancora. Ed allora non ci resterebbe che amministrare la povertà, con milioni di nuovi disoccupati. E non sarà affatto facile, perché dovremo spiegare ai giovani che dovranno rinunciare ai loro apertivi, agli apericena, a cambiare il cellulare ogni sei mesi, a programmare vacanze esotiche, a fare foto a piatti e vini, a dire arrivederci alla vita opulenta vissuta finora forse un po’ al di sopra delle nostre possibilità.

28 marzo 2020

Pubblicata su “IL MESSAGGERO”

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